Lo scultore astratto, Lino Tinè,nasce a Floridia (SR) nel 1932, ma vive e lavora a Sesto San Giovanni (Milano) da quasi cinquant’anni.
Alunno di Ferruccio Ferri e di Salvo Monica, consegue il Diploma alla Scuola d’arte di Siracusa, insieme ad Angelo Cassia, Vittorio Lucca, Paolo Scirpa, Pippo Spinoccia,Tano Fortuna e Vittorio Giaracca; successivamente si diploma all’Istituto d’arte di Firenze ed all’Accademia BB.AA. di Brera- Milano (’56), allievo dello scultore Marino Marini .Ha fatto parte del Grupp”V”(Bozzola,Cambiaire, Davanzo, Laks, Pichette) in una mostra Antologica a Palazzo dei Diamanti(Ferrara,’74).
Sua prima mostra Collettiva,la mostra di Arte sacra(Caltanissetta,’53) ed il Premio Marzotto(Roma,’53) .Sua prima Mostra Personale:Galleria Fondaco (Messina,’60). Ha partecipato alla IX Quadriennale (Roma,’65), Biennale del bronzetto (Padova,’67,’75), Salon de Mai (Paris, ’70, ’71, ’72), Biennale di Scultura ( Campione d’Italia, ’75, ’78), XV Triennale (Milano,’73), XXVIII Biennale(Milano,’74),Biennale di scultura (Comiso,’77), Antologia di scultura (Giussano-Como,’78). Nella sua carriera partecipò ad ulteriori mostre degne di nota.
La sua poetica nasce da un interesse urbanistico e dalla dimensione umana, come processo immaginario razionale, crea una ragnatela di luci e ombre: la pietra, lo spazio, il colore diventano parola, simbolo. La sua sensibilità lo porta a creare un armonico connubio tra antico e avvenire, assimilabile sia alle civiltà antichissime che future, in un continiutà tra arcaico e tecnologico. Come se il mondo visto si rinnova, in maniera primigena, nuova, assoluta, come se fosse all’alba della sua creazione, attraverso un’emozione diretta e fisica per il chiaro scuro, sperimentando tecniche e materie sempre diverse. L’attenzione di Tinè verte sul corpo della materia nelle sue infinite possibilità. Riesce ad allineare all’infinito i suoi segni, e la massa diventa espressione di energia.
Immaginari modelli di città viste dall’alto, i pieni e vuoti rimandano evidentemente a figurazioni architettoniche. Lo dicono esplicitamente i titoli ma solo per rimando fantastico. Tinè si rifà alla città come utopia, o meglio ad un archetipo, se non a un a pura visione. Rappresenta modelli di città come visioni interiori, provengono forse dal ricordo della necropoli di Pantalica. E’ uno spazio cosmico che nasce dal travaglio dell’uomo contemporaneo, teso alla conquista di altri mondi.